Facebook pronto a censurarsi per rientrare nel mercato cinese

f16d7 1479892047 facebook1 - Facebook pronto a censurarsi per rientrare nel mercato cineseLa prima cosa che viene da pensare è che se possono farlo in un senso, possono farlo anche nell’altro. A quanto pare Facebook avrebbe creato un sistema in grado di censurare i contenuti pubblicati sulla sua piattaforma in alcune aree geografiche. Dove? Ovvio: in particolare in Cina, dove il social di Mark Zuckerberg sta facendo di tutto per sbarcare. Anzi, per tornare (è vietato dalle proteste della minoranza uigura a Ürümqi, capitale dello Xinjian, del luglio 2009). Stando al New York Times tale sistema, farebbe parte dell’offerta alle tanto celebrate autorità di Pechino: “Ecco il sistema che blocca i contenuti scomodi al regime: ora possiamo venire?”.
Il Ny Times scrive in base a un’indiscrezione arrivata da alcuni dipendenti ed ex dipendenti che, su garanzia di anonimato, hanno spiegato il funzionamento del Leviatano sociale in grado di mangiarsi i contenuti di attualità più sgraditi e partorito lo scorso anno.

Non sarebbe ovviamente Facebook a decidere cosa dovrebbe restare e cosa dovrebbe sparire (in questo senso c’è massima coerenza con l’invito a non farsi “arbitri della verità” espresso di recente da Zuckerberg): un partner governativo dovrebbe stabilire le notizie da eliminare e quelle innocue, da lasciar pascolare. Si tratta di una delle soluzioni sul tavolo per schivare il Golden Shield Project di cui abbiamo spesso parlato, cioè il muro gestito dal ministero della Pubblica sicurezza che impedisce l’accesso ai siti considerati dannosi.

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Non è dunque detto che possa davvero entrare in funzione.

È da tempo che diciamo pubblicamente di essere interessati al mercato della Cina e stiamo cercando di capire meglio il Paese – ha spiegato all’agenzia Afp una portavoce del gruppo californiano – tuttavia non abbiamo ancora preso alcuna decisione riguardo all’approccio nei confronti della Cina”. C’è un dato, però, che lascia passare tutta la scivolosità dell’approccio. Per carità, non è detto che non possa essere una scelta giusta: al momento appare come minimo controversa. È  ben dipinto dalla frase attribuita proprio a Zuckerberg nella quale il fondatore avrebbe spiegato che in fondo “è meglio rendere possibile una conversazione, anche se non è ancora una conversazione completa”. Un po’ quello che fa LinkedIn proprio in Cina mentre tutti gli altri social, da YouTube a Instagram, sono bloccati.

Un conto, però, è rispondere a precise richieste governative – documentate nel rapporto sulla trasparenza che ormai ogni big company hi-tech pubblica annualmente – come accaduto in Pakistan, Turchia o persino in Francia. Fatti puntuali per quanto gravi che appunto costituiscono un’eccezione alla normalità. Un altro piegare il dna del proprio prodotto a logiche completamente diverse pur di penetrare un ghiotto mercato. Creando così un precedente di proporzioni enormi. E se altri regimi dovessero chiedere il medesimo trattamento?

Se questa è una valutazione morale che in fondo può lasciare il tempo che trova, c’è un altro elemento che lascia perplessi. Se in effetti da Menlo Park trapelano notizie simili, e cioè – al netto di ogni necessaria verifica e approfondimento – indiscrezioni che raccontano la capacità di mettere a punto un sistema tanto sofisticato di rimozione dei contenuti, chi ci assicura che non sia già stato fatto in precedenza? E che senso ha, inquadrata alla luce di queste notizie, la battaglia sulle fake news?

I sistemi ci sono: se la piattaforma si riterrebbe in grado di sbarcare niente meno che in Cina sfoderando una simile architettura forse sarebbe anche stata in grado di usarla positivamente, bonificando il suo ecosistema durante la campagna elettorale statunitense. O, in piccolo, in quella referendaria italiana ancora in corso. Tanto per fare due esempi, senza dimenticare le frottole evergreen che circolano indisturbate sulle nostre bacheche.

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